Il Corpus Domini (Solennità del Santissimo Corpo e Sangue del Signore), è sicuramente una delle “feste” più sentite a livello popolare. Vuoi per il suo significato, che richiama la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, vuoi per lo stile della celebrazione.

Pressoché in tutte le diocesi infatti, la solennità si accompagna, in tempi normali, a processioni, rappresentazioni visive di Gesù che percorre le strade dell’uomo. Una consuetudine ovviamente venuta a meno a causa della pandemia senza che però questo tolga nulla all’importanza della celebrazione del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. 

L’estensione della solennità a tutta la Chiesa però va fatta risalire a papa Urbano IV, con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264. È dell’anno precedente invece il miracolo eucaristico di Bolsena, nel Viterbese. Qui un sacerdote boemo, in pellegrinaggio verso Roma, mentre celebrava Messa, allo spezzare l’Ostia consacrata, fu attraversato dal dubbio della presenza reale di Cristo. In risposta alle sue perplessità, dall’Ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino (conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare ancora oggi custodite nella basilica di Santa Cristina. Nell’estendere la solennità a tutta la Chiesa cattolica, Urbano IV scelse come collocazione il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua).

In numerosi Paesi, tra cui dal 1977 l’Italia, la celebrazione è stata spostata dal giovedì alla domenica successiva. In molte Chiese locali però, tra cui obbligatoriamente Milano anche alla luce della recente riforma del calendario ambrosiano, la tradizione è rimasta invariata così che l’Eucaristia (quest’anno presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini il 3 giugno alle 19.30 in Duomo) e la processione eucaristica, nel 2021 sospesa causa Covid, rimangono al giovedì. Così anche Roma fino al 2017 mentre già l’anno successivo il Papa aveva deciso di spostare alla domenica la processione del Corpus Domini, celebrando la solennità a Ostia, come fece Paolo VI nel 1968.

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