Il tempo passa inesorabilmente e qui scriviamo che è già trascorso un mese da quando il Papa emerito Benedetto XVI è deceduto che era di sabato 31 dicembre, alle ore 9.34, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, dove risiedeva dopo la rinuncia al pontificato. Le sue condizioni di salute si erano aggravate per l’età — aveva compiuto 95 anni il 16 di aprile — negli ultimi giorni.

Giovedì 5 gennaio, alle 9.30, in piazza San Pietro, è stato Papa Francesco a presiedere la celebrazione delle esequie del Papa emerito.

Con molto piacere pubblico qui un intervento, scritto apposta per Storie di Territori, da Benedetta de Vito, che lo conobbe anche da vicino.

Il mio Benni
di Benedetta de Vito

Per più di venti anni, ho lavorato nella redazione romana del Gazzettino di Venezia. Su e giù per le ampie scale di marmo di Palazzo Marignoli affacciato sull’allora trafficatissima (di autobus e di persone) piazza San Silvestro in capitis, ora desolata nelle tristi, infinite panche di marmo che diventano letti per senza tetto e pattumiere per ogni sudiciume. Dividevo la stanza con Arcangelo Paglialunga, che, già vecchiotto, in quei giorni suoi ancora terreni era il “decano” dei vaticanisti. Arcangelo, di nome e di fatto, devotissimo e mite come sono i buoni cristiani, aveva tre passioni: la moglie Caterina, Roma e la musica. Un amore, quest’ultimo, che aveva in comune con l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, suo ottimo amico. Ed ecco come, nella mia vita di persona lontana dalla Chiesa, è entrato allegramente il presule bavarese. Arcangelo ne parlava come di un buon amico e come di persona di prim’ordine e, credetemi, c’era da fidarsi. Afferrate, adesso, al volo il palloncino rosso che vi dono per volare un rigo più giù.

Eccomi seduta alla scrivania e, arrotolando gli anni intorno all’indice della mano destra, torniamo al 2005, in un giorno qualsiasi di aprile precedente al 19, quando fu eletto Benedetto XVI. Arcangelo, in firulì firulà, come schiacciando noccioline: “Benedetta, eleggeranno il cardinale Ratzinger e si chiamerà Benedetto XVI”. “Davvero?”, io, le orecchie fatte di Dumbo. “Sì, sì, sì”, risponde lui e poi riprende a canticchiare la musica che ha composto per Caterina (che Ratzinger, dotato di una buona misura di senso dell’umorismo, amava) e che faceva, nel ritornello così: “Ti ho preso un vestito di roccobarocco, lalalllaaa”. Mi pareva di vederli, lui e Joseph, a quattro mani sulla tastiera, ridendo insieme allegramente. Due buoni amici, uniti ancor di più dall’amore per il Signore.

Ora sono sola, al mio computer e scrivo alla mia dolce Jane in Australia, rivelandole chi sarà il nuovo Papa. Lei tutta punti esclamativi e interrogativi. Il 19 aprile andò come Arcangelo aveva predetto e io ricevetti qualche telefonata dal Paese dei canguri piena di oh my oh my…

Molti anni dopo, quando quei tempi spensierati si erano sciolti come neve in primavera e a passi svelti ci avviavamo verso gli abissi tenebrosi attuali, mi ritrovai, a scrivere , con il cuore gonfio di dolore, al Pontefice, ricordandogli proprio la sua amicizia con Arcangelo. L’occasione: il Suo novantesimo genetliaco. Di quel carteggio conservo soltanto le risposte di Benedetto XVI: quattro lettere datate e firmate, per conto del Papa, dall’Assessore, Monsignor Paolo Borgia. Il contenuto è tutto mio, ma la prima lettera di risposta fu scritta nel giorno del centenario delle apparizioni di Fatima, come mi venne fatto notare dallo scrivente…

Corrono gli anni tenendosi allacciati alla vita e siamo al capolinea della santa vita di Benedetto XVI. Ci sono anche io tra i tanti che, fin dall’alba, attendono di entrare nella Basilica di San Pietro per rendere l’estremo saluto al dolce Cristo in terra. Arrivo a Lui davanti e mi colpiscono, anzi mi feriscono, le brutte scarpe nere che gli hanno messo ai piedi. Doveva portare, secondo me, le pantofole rosse, segno e simbolo del sangue versato da Nostro Signore sulla Croce. Presto, presto, i sanpietrini mi incalzano, non si può sostare davanti al Santo Padre, neppure il tempo di una preghiera. Sono già fuori mentre nel cielo esplode un nuovo giorno pieno di sole che illumina le cupole romane.

Ecco, siamo quasi al trigesimo che, vergognosamente (secondo me) non sarà celebrato a San Pietro, ma nella chiesa gesuita del Gesù e alla sera, quando già le oscure tenebre avvolgono la terra. Perché, mi domando e conosco la risposta, ma la tengo stretta stretta nel cuore. E prima di mettere il punto e a capo a questo breve ricordo tutto mio del mio caro Benni, un ricordo, caldo d’amore, di una suora che ebbe il privilegio al tempo del conclave di servire pranzi, cene e colazioni ai Principi della Chiesa riuniti per ricevere l’ispirazione dello Spirito Santo e indicare il nuovo Pontefice. Eccoci di nuovo nel 2005. E la suora era lì e c’era Benni che mangiava poco poco e a volte lasciava qualcosina nel piatto. Una volta, un involtino di melanzane con dentro dei deliziosi tagliolini al sugo. E la dolce sorella non resistette e, me lo raccontò con un sorriso luminoso, l’involtino di Benni se lo mangiò lei e le sembrò un onore grande. E anche a me.

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