Oggi è il 24 maggio ed allora è facile richiamare alla memoria la “Leggenda del Piave“, meglio nota come “il Piave mormorava“, che è sicuramente uno dei canti più simbolici dell’Italia dello scorso secolo.
Composta dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (in arte E. A. Mario) nel giugno del 1918, in seguito alla vittoriosa Battaglia del Solstizio, contribuì a risollevare il morale dei soldati più di quanto potesse fare un generale. Lo stesso Diaz, insediatosi in seguito alla disfatta di Caporetto al posto di Cadorna, inviò il seguente telegramma all’autore.
La canzone venne pubblicata ufficialmente nel settembre del 1918, solo un mese prima della definitiva vittoria italiana. Utilizzata sporadicamente durante il regime Fascista, divenne l’inno provvisorio del governo italiano dal 1943 al 1946 in seguito all’armistizio dell’8 settembre. Venne sostituito ufficialmente il 12 ottobre del 1946 dall’attuale “Canto degli Italiani”.
Nonostante la conformazione popolare del canto, il testo è ricco di riferimenti storici contemporanei e antecedenti alla guerra.
IL TESTO
Era infatti il 24 maggio del 1915 quando, sulle ali dell’entusiasmo, l’Italia si avviava alla guerra inconsapevole degli enormi sacrifici che l’avrebbero accompagnata per i tre anni successivi.
Sin dalle prime strofe il Piave assume le sembianze umane di un compagno d’arme dell’esercito, in grado addirittura di prevedere l’esito della guerra.
Nel bravo è evidente l’evolversi della situazione della guerra. Successivamente all’entrata in guerra, infatti, il canto affronta il momento più buio delle ostilità: Caporetto. In questa strofa si fa riferimento al presunto tradimento di un reparto italiano in fronte al nemico e, pertanto, responsabile dell’intera disfatta.
Autore del testo e della musica: E.A. MARIO
E.A. MARIO è il nome d’ arte del musicista e poeta Giovanni GAETA (Napoli 1884 – 1961). Autodidatta, esordì attorno ai venti anni, conseguendo un clamoroso successo con la canzonetta “Cara mammà”.
Legò il suo nome soprattutto a canzoni, in lingua e in dialetto, impregnate di romanticismo (Santa Lucia, Vipera, Balocchi e profumi), e più ancora alla Leggenda del Piave (1918), l’ inno che celebrò la riscossa delle truppe italiane sul fronte veneto nella prima guerra mondiale. Pubblicò anche volumi di versi e scrisse un’ opera teatrale e libretti di alcune opere.
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio.
L’esercito marciava per raggiunger la frontiera,
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava e andare avanti.
S’udiva intanto delle armate sponde
sommesso a lieve il trepidar dell’onde;
era un presagio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”
Ma in una notte trista si parlò di tradimento
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento…
Ahi, quanta gente ha vista venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i suoi ponti.
S’udiva allor dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorìo de l’onde:
come un singhiozzo, in quell’autunno nero.
Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”
E ritornò il nemico per l’orgoglio e per la fame:
volea sfogare tutte le sue brame…vedeva il piano aprico,
di lassù voleva ancora sfamarsi e tripudare come allora…
“No” disse il Piave. “No!” dissero i fanti,
“Mai più il nemico faccia un passo avanti!”
Si vide il Piave rigonfiar le sponde!
E come i fanti combattevan l’onde…
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: “Indietro và, straniero!”
E indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento,
e la Vittoria sciolse l’ali al vento. Fu sacro il patto antico:
fra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro, Battisti…
Infranse alfin l’italico valore le forche e l’armi dell’impiccatore.
Sicure l’Alpi…libere le sponde…
E tacque il Piave, si placaron le sponde.
Sul patrio suolo,vinti i torvi imperi,
la pace non trovò nè oppressi nè stranieri.