In un angolo di Castelnuovo Scrivia c’è una macina, ai sui lati due cartelli che raccontano del GUALDO, nient’altro che una pianticella, capace di molte sfumature. Isatis tintoria, la designazione scientifica, rende edotti sulle sue proprietà tintorie e anche curative (Isatis, dal greco, “pelle bella”) .

Proprietà che, a dispetto dell’attuale scarsa conoscenza della pianta, ha fatto la fortuna di molti. Per questo un tempo si parlava di “oro blu”.

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Un oro noto da tempi remoti: già nel 9000 a.C. a Catal Huyuk, in Anatolia, se ne sono trovate tracce circa il suo utilizzo. La pianta è in effetti di origine eurasiatica e intenso fu nei secoli successivi l’utilizzo degli Egizi, imitati poi dai Greci e dai Romani che lo diffusero in ogni angolo dell’impero. Grazie al gualdo i mercanti medievali di coloranti per tessuti accumularono ingenti ricchezze. E venendo a tempi più recenti, sempre l’oro blu del gualdo è alla base della passata prosperità di Castelnuovo Scrivia  . Fin dai tempi di Federico Barbarossa imperatore, e poi durante il Rinascimento, Castelnuovo fu il maggior centro di produzione e lavorazione del gualdo (definito “lombardo” poiché l’area di coltivazione, compresa fra Casteggio, Voghera, Castelnuovo, Tortona e Novi rientrava nello Ducato di Milano).
Da una lunga e complessa lavorazione delle foglie si ottenevano dei pani (panët a Castelnuovo, cocagne in Provenza, da cui paese della cuccagna ossia “paese ricco”) che imbarcati a Genova andavano per tutta Europa. Dai pani si otteneva appunto il blu, blu di Genova, blue-jeans: ecco la genesi del nome! Con l’aggiunta di principi coloranti tratti da altri elementi naturali come la robbia, la cocciniglia, l’anthemis tintoria e lo zafferano, oltre alla gamma dei blu si potevano ottenere anche il nero, il verde, lo scarlatto e il viola.


Ma torniamo alla pianta. Una crocifera dal ciclo biennale: il primo anno produce una rosa di 40 centimetri di foglie (dal cui pigmento contenente indigotina si ottiene la tintura), il secondo cresce fino a un metro e mezzo ricoprendosi di centinaia di fiorellini giallo-dorati che producono semi violacei. Ricaccia poi per un decina di anni, ma perde via via capacità coloranti e vigoria.
La pianta è oggi pressoché scomparsa, ma è stata reintrodotta a Castelnuovo Scrivia intorno al 1990. Lo si può vedere in paese e in campagna, lungo le stradine perimetrali della riserva naturale. In paese al gualdo sono stati eretti monumenti, coppie di antiche macine (sul territorio ne sono state ritrovate una ventina) affiancate da aiuole e da pannelli illustrativi.
La stagione giusta per l’osservazione è il cuore della primavera, nel mese di maggio, in piena fioritura e ricoperto d’api.

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