19 marzo, giorno dedicato a San Giuseppe, dalle prime ore del mattino molte case italiane così come le strade di bar e pasticcerie sono invase dal profumo di dorate e invitanti frittelle! Il giorno della festa del papà, infatti, le vere protagoniste sono queste dolci prelibatezze. Una consuetudine che troviamo dal Piemonte fino all’alto Lazio e che ha origine dalle antichissime Liberalia romane, le celebrazioni che si svolgevano all’inizio della primavera in onore del Liber Pater, divinità pagana della fecondità: per ringraziare il dio della fine dell’inverno e dell’arrivo della nuova stagione, gli antichi accendevano grossi fuochi e consumavano focaccine fritte impastate con acqua e farina di frumento. Con l’avvento del Cristianesimo i festeggiamenti per il Liber Pater furono sostituiti da quelli per San Giuseppe e in diverse regioni d’Italia si continuò ad accendere falò e a mangiare frittelle.

Alla figura del santo protettore dei papà è legata anche una curiosa leggenda popolare, quella di San Giuseppe ‘frittellaro’: secondo la tradizione, dopo la fuga in Egitto con la Vergine Maria e il Bambino, il santo non poté più dedicarsi al suo mestiere di falegname, così per dare da vivere alla famiglia iniziò a impastare e vendere frittelle.

Ed ecco le ricette diffuse dalle nostre parti:

A Pavia e Piacenza
Nella Val Trebbia, attraversata dal fiume omonimo che bagna Piacenza arrivando fino all’Oltrepò Pavese, le frittelle di San Giuseppe sono chiamate farsò e nei secoli scorsi venivano preparate in occasione dei falò che si svolgevano a marzo per accogliere la primavera. I farsò pavesi vengono impastati con farina, uova, latte e uvetta; quelli piacentini, invece, sono fatti con il riso cotto nel latte, farina, uova e zucchero e profumati con scorza di limone grattugiata, rhum e un pizzico di cannella. Oltre che in Lombardia ed Emilia Romagna, ritroviamo i farsò col riso pure in Piemonte, soltanto nella provincia di Alessandria, al confine con Pavia e Piacenza.

A Genova
San Giuseppe è anche il patrono dei falegnami, perciò, nel giorno dedicato al loro santo protettore, in passato gli artigiani del centro storico di Genova gli rendevano omaggio organizzando piccoli rinfreschi all’interno delle loro botteghe. Sui banconi dove abitualmente lavoravano il legno, il 19 marzo ponevano invece vino bianco e vassoi colmi di focaccia ligure e frisciêu, frittelle dolci e salate, da offrire ai passanti. I frisciêu salati sono fatti solo con farina, lievito di birra, un po’ di latte o acqua e un pizzico di sale; quelli dolci invece sono arricchiti dalle uova, dallo zucchero e dallo zibibbo (uva sultanina).

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